Welfare Aziendale GoWelf donne work life balance

Ormai alle porte, celebrato annualmente come da calendario, l’8 marzo porta necessariamente con sé un momento di profonda riflessione sul ruolo della figura femminile nella nostra società, con l’obiettivo primario di evitare di svuotare di significato una ricorrenza così importante, ma, in talune occasioni, fin troppo banalizzata o commercializzata.
Dalle (purtroppo) quotidiane violenze, con i 118 femminicidi compiuti nel 2021, agli scoraggianti dati che coinvolgono la donna in termini di occupazione lavorativa (tasso del 50,5%, contro il 67,6% degli uomini), nonché di reddito percepito (con un 10% circa di gender pay gap), sono numerosi gli elementi che ci fanno comprendere come, ad oggi, la parità tanto ricercata sia in realtà parecchio lontana dall’essere raggiunta.
Si è spesso parlato di quote rosa, o di figure istituzionali da colorare al femminile, quasi a testimoniare una sorta di lavaggio di coscienza, in nome del raggiungimento dell’uguaglianza. Ma davvero si può ritenere corretta fino in fondo una scelta di questo tipo, se non accompagnata da idonei strumenti atti a valorizzare la donna in tutte le sue competenze ed il suo valore? Fino a che punto alla donna è consentito, nella nostra società, realizzare se stessa, senza sacrificare altre sfere, quali vita privata e familiare in primis?
Senza andare troppo lontano, è probabilmente davanti agli occhi di ognuno di noi, nel proprio quotidiano, nel proprio vissuto, ciò che la donna è portata ad affrontare, soprattutto in termini di conciliazione famiglia – lavoro; sebbene sia ormai ampiamente e, fortunatamente, superata la concezione della figura femminile del ‘focolare’, è indubbio come la possibilità di dare seguito ai desideri e alle legittime aspirazioni di affermazione all’interno del mondo lavorativo, incontrino non poche difficoltà in virtù degli strumenti, ad oggi, a disposizione delle famiglie.
Passi in avanti sono sicuramente stati compiuti da quelle realtà aziendali che hanno introdotto strumenti di welfare, in grado di attenuare le fin troppo evidenti difficoltà quotidiane delle famiglie e delle donne: si pensi ad esempio alla possibilità di ottenere il rimborso per le spese sostenute per i collaboratori domestici (baby sitter, badanti), o per le spese di iscrizione ad asili e scuole. O, ancora, nei casi più virtuosi, all’introduzione degli asili nido aziendali, che nel 2020 ammontavano però a poco più di 200 unità in Italia, e prevalentemente al Nord.
È quindi indubbio che, al di là degli slogan di facciata, il vero perno in grado di far ruotare il quadro attuale non possa che essere legato ad un quadro normativo e ad interventi sostanziali che agevolino la donna, qualunque donna, nel proprio percorso di affermazione. In nome di un benessere della collettività contemporanea che non potrà mai ritenersi tale, laddove mancassero gli elementi di stabilità di base, rappresentati dalla possibilità data ad ognuno di affermarsi nella società, con le proprie competenze, il proprio vissuto e le proprie colorazioni.
Che sia veramente 8 marzo, si diceva, che alla donna sia consentito di essere madre e manager allo stesso tempo, senza tralasciare nulla di se stessa; che possa realizzarsi e ambire a ciò a cui aspira, in modo che non si debba intervenire con ipotetiche quote rosa, capaci, probabilmente, di svilire una figura che non dovrebbe certamente basarsi su interventi simili per affermare il proprio ruolo e le proprie competenze.

Riempiamo di valore il concetto di benessere sociale, colleghiamolo alla donna, sostenendola con supporti concreti nell’operato quotidiano: anche così il termine welfare potrà ritenersi davvero affermato a tutto tondo.
E voi che misure di welfare vorreste vedere realizzate in primis, affinchè sia davvero 8 marzo?

Scrivetecelo nei commenti!

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